Se non si riesce a garantire condizioni di partenza uguali per tutti, non si può parlare di merito, ma solo di privilegio
In Italia la meritocrazia non esiste, non scherziamo. Tanto nel settore pubblico quanto nel privato, siamo la fedele trasposizione di quanto scritto dal francese Alain Deneault nel suo libro “La mediocrazia”. La sua tesi è molto semplice: in qualunque campo regnano i mediocri, perché, a differenza di chi ha qualitá, non danno fastidio e non suscitano invidia a nessuno. Già, però esercitano il loro potere senza averne le competenze e, quindi, combinano disastri. Basta guardarsi intorno, dalla politica all’imprenditoria, per ricavarne un quadro desolante.
Non fa eccezione la scuola, della quale spesso ci occupiamo proprio perché in stato comatoso. Viste le premesse, quando il governo Meloni ha aggiunto il termine “merito” al ministero guidato da Giuseppe Valditara, ha segnato un gol a porta vuota: come si fa a non auspicare l’avvento della meritocrazia, in siffatto Paese?
Già, ma il cambiamento non si ottiene per decreto. Anzi, paradossalmente, introdurre il concetto di meritocrazia nella scuola in questo modo, calato dall’alto, è il modo migliore per giustificare le disuguaglianze esistenti.
Magari si fossero messi in campo strumenti per tutelare i meritevoli che vengono da fasce sociali meno agiate! Un conto è compiere azioni concrete come borse di studio, tetti massimi per gli affitti e potenziamenti del trasporto pubblico. Limitandosi a enunciare il criterio del merito, al contrario, si mette un bollino valoriale su chi già oggi viaggia in discesa per le condizioni sociali, economiche e culturali di partenza. E tanti saluti a chi non ce la fa.
Altro che meritocrazia, questo è classismo bello e buono! Don Milani si rivolterà nella tomba, indignato come tutti coloro che pensano che invece la scuola dovrebbe occuparsi in primo luogo di chi ha più difficoltà.